Accogliere

Riflessione di approfondimento sulla lettura della Quarta Domenica di Avvento 2019. Autore del testo: Stefano Mentil, Centro Documentazione Pace e Mondialità, Caritas di Udine

accogliere avvento 2019

L’ultimo passaggio – il più difficile – è quello dell’accogliere. Dopo esserci accorti dell’infinitezza della realtà che ci circonda quotidianamente, dopo aver superato la difficoltà nello scorgere i segni spesso celati nella quotidianità e di quotidianità; dopo aver permesso a questa realtà di avvicinarci, superando le nostre personali paure e mancanze di fiducia; dopo aver ascoltato ciò che ha da dirci, oltrepassando quella sorta di naturale sordità verso tutto ciò apparentemente non ci riguarda, si tratta di prendere con sé tutto questo, accettando che faccia parte della nostra vita. La difficoltà principale consiste nella frazione di fiducia che costantemente e quasi ostinatamente ci viene richiesta.

Il dubbio, l’angoscia, il dolore sono dimensioni dell’esistenza umana che ciascuno vorrebbe evitare ma che tutti prima o poi

devono affrontare. Il messaggio evangelico ed il suo protagonista non hanno sradicato dal cuore dell’uomo la possibilità del dubbio e del dolore, ma finalmente hanno permesso di dargli una collocazione, un posto definito, di accettare che fossero una dimensione tra le dimensioni dell’esistenza. Non l’ultima, non la definitiva, ma sicuramente un passaggio necessario e perciò inevitabile.

Quest’itinerario interiore è condensato nel brano di questa domenica, che narra del sogno di Giuseppe. A quest’uomo, descritto come giusto, perciò leale e retto, fedele alla promessa fatta nonostante apparentemente quella ricevuta fosse stata tradita, i segni mancano. Almeno di primo acchito. I segni di una destabilizzazione, dello stravolgimento dei suoi progetti, ci sono tutti: la ragazza che doveva sposare, infatti, si trova prematuramente e misteriosamente incinta. Questo era sufficiente per permettergli di accusarla davanti a tutta la comunità, condannandola così ad una morte non solo sociale. Questo era prescritto dalla legge, era possibile, quasi auspicato. Quasi un dovere che Giuseppe aveva di fronte alla comunità e alla legge. Ma la sua giustizia supera la legge stessa e va oltre, senza peraltro annullarla. La legge, al di là dell’aspetto normativo, evidenzia e prova comunque maldestramente a cautelare una ferita, a riparare un torto, a rimediare ad una violazione. Giuseppe invece decide di accogliere questa ferita e questo dolore, di accettare il dubbio. Ed applica non di meno una legge tutta sua, certo più ammorbidita ma comunque sintomo di un malessere subito e non accettato, di un timore presente e difficile da allontanare. E decide di allontanarsi, di allontanare da sé la causa di quel dolore, ossia la donna che apparentemente ne aveva tradito la fiducia.

A questo punto arriva un messaggio di aiuto, attraverso il canale più comune ma anche meno attendibile, quello del sogno. Mentre l’annuncio dell’angelo a Maria è una vera e propria apparizione (l’angelo Gabriele viene mandato da Dio ed entrò da lei), a Giuseppe viene fornito un aiuto, ma comunque un aiuto che chiede fiducia, di cui bisogna fidarsi e da cui si poteva pure diffidare.

Solo dopo aver accolto quest’aiuto, sotto forma di intuizione, di sogno, Giuseppe riesce a destarsi dal sonno e ad accogliere la sua sposa, nonostante tutto. È interessante notare come l’evangelista abbia scelto il medesimo verbo, per descrivere il risvegliarsi di Giuseppe dal sonno e di Gesù dalla morte, che nell’originale greco è ἐγείρω, che appunto significa sia destarsi, svegliarsi, ma anche resuscitare, oltre che guarire. Quasi che solo a questo punto, solo dopo essere stato stimolato nel proprio dubbio e nel proprio dolore, Giuseppe sia stato in grado di guarire la propria ferita, accettando che l’imprevedibile facesse parte della sua vita.

La disponibilità all’accogliere non è sufficiente a ridurre il margine di incertezza. Riesce certo a smorzare la presa che la paura ha su di noi, ma non ad annullarla. Ma il senso del percorso interiore compiuto fino a questo punto non è quello di annullare la paura, di permetterci di non doverci fare i conti, ma di riuscire ad affrontarla e a superarla.

L’accoglienza è perciò sempre dinamica, forse faticosa. Ci chiede di raccogliere presso noi stessi, di ricevere l’altro con dimostrazione di affetto, non con neutralità, o peggio con diffidenza o superiorità. Significa mettere insieme ciò che prima era separato, cogliere nel flusso dell’esistenza, che a volte ci scorre accanto senza che ce ne accorgiamo, tutte le opportunità di prossimità e di ascolto.

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