Accorgersi alle volte è difficile: la proverbiale testa sotto la sabbia ne è un esempio. Tuttavia, quello dell’accorgersi è un passaggio fondamentale al fine di poter fare qualcosa, soprattutto per potersi avvicinare, ossia per provare a instaurare una relazione. La possibilità di avvicinarsi presuppone molte cose, tra cui la capacità di accorgersi dell’altro, oltre alla disponibilità all’ascolto e all’accoglienza. Accorgersi non è sufficiente, e se non stimola ad un passo ulteriore è praticamente e paradossalmente indistinguibile dal suo opposto, l’indifferenza.
Rispetto al testo evangelico, l’avvicinamento rappresenta una chiave di lettura assai interessante. La scena è molto dinamica, su diversi livelli, sia spaziale che temporale.
Anzitutto è stimolante notare come tutti i verbi di movimento siano riferiti dall’autore all’angelo (fu mandato… entrando… si allontanò…), creatura incorporea per definizione e per essenza, mentre Maria, persona fisica dotata di un corpo vero e proprio, sembra immateriale nella sua introspezione: fu molto turbata… si domandava… Quasi che le caratteristiche dell’uno e dell’altra, nel tentativo di avvicinamento e di relazione che le prime righe del testo descrivono, si confondessero: la scena è caotica, non nella cornice degli spazi in cui avviene, ma negli “spazi interiori” dei personaggi: è lì che si scatena tutto il dinamismo della storia narrata. Dinamismo che si colloca su un doppio binario, a volte parallelo, a volte incidente: l’angelo si avvicina a Maria e questa se ne ritrae, per paura. Quando accoglie l’annuncio dell’angelo, quando la paura lascia spazio alla fiducia, quest’ultimo si allontana, avendo ormai assolto al proprio compito. Ma non la lascia sola, perché da quel momento la relazione si è intessuta, da quel momento Maria diviene “una e bina” come qualsiasi mamma che accoglie nel proprio grembo il seme di una nuova vita, lo porta a compimento e ne coltiva il frutto per tutto il tempo a venire.
Oltre ad un significato di dinamicità, i verbi dilatano anche il tempo, rievocano il passato e progettano il futuro. Ed anche in questo senso il testo evangelico è assai espressivo. Infatti, tutto ciò che riguarda il contenuto del messaggio dell’angelo, tutto ciò che l’angelo descrive (concepirai… darai alla luce… chiamerai… avverrà… ecc.), e perciò tutto ciò che riguarda di fatto il cambiamento nella vita di Maria, è ancora un progetto, espresso quindi con i verbi al tempo futuro. Non è un’ipotesi, descritta al condizionale, ma appunto un progetto. E progetto resterà fintanto che Maria non darà il proprio assenso: allora diviene realtà ed avviene. Tuttavia, il testo all’inizio parla di un altro progetto, quello di matrimonio tra Maria e Giuseppe. Un progetto legittimo, bello e promettente. Che apparentemente viene scartato, che viene compromesso e rischia di essere annullato. Che dev’essere rimodulato e riprogettato, per far spazio alle novità che Dio chiede di introdurre. Per fare spazio a Dio stesso, che chiede di farvi parte.
Infine, rispetto al testo è notevole un’altra caratteristica: tutti hanno un nome, persino i luoghi. A partire dall’angelo Gabriele, la città della Galilea chiamata Nàzaret, la vergine Maria, il suo promesso sposo Giuseppe, il figlio Gesù, la cugina Elisabetta. Perché la relazione non è mai tra sconosciuti, la relazione innesca sempre la conoscenza reciproca e, solitamente, inizia con la condivisone del nome.
Dinnanzi alla paura, ad una cosa imprevista che ci capita, è naturale sentire il bisogno o addirittura vedersi quasi imprigionati in un riflesso condizionato che ci porta a chiuderci in noi stessi, a domandarci che senso abbia quello che ci è stato detto anziché domandarlo a chi ce l’ha detto. Quasi a saggiare l’innocenza e l’autenticità di noi stessi prima che del messaggio ricevuto, basi per quella relazione di fiducia che ci viene chiesta. Quasi ad accogliere nell’interiorità quella provocazione senza darne a vedere all’interlocutore. Nel caso dell’angelo, e questi che rilancia, che risponde ad una domanda apparentemente inespressa da parte di Maria, ripresentando la proposta di relazione e arginando la paura del rinchiudersi in sé. Perché avvicinarsi significa anche saper preventivare il possibile rifiuto dell’altro, il suo più o meno istintivo allontanarsi. E perciò il proprio possibile allontanarsi dalla relazione, scatenato dalla delusione e dal rifiuto ricevuti. Perché a questo punto lo scambio è ancora sintonizzato sulle frequenze della paura, dello spaesamento, della confusione. La novità che irrompe è ancora neutra, dev’essere valutata per capire con quale aggettivo accompagnarla, se sia buona o cattiva per la nostra vita. La fase del dubbio è funzionale proprio a questa valutazione, ma è anche faticosa, addirittura dolorosa, perché ferisce le nostre certezze, ci disorienta rispetto ai nostri progetti e al percorso che avevamo deciso, che volevamo intraprendere. Perché rimodula le relazioni che a fatica avevamo coltivato fino a quel momento, inevitabilmente investite dalla nostra scelta, che non necessariamente potranno o sapranno comprenderla e accoglierla. Il dubbio richiede, quasi provoca una prova, una garanzia che la fiducia ha ragione di essere riposta, che non verrà tradita. Dare fiducia significa affidare una parte più o meno significativa della mia vita a qualcun altro, significa permettergli di avvicinarsi alla mia vita e di farne parte, significa essere rassicurati sul fatto di poter contare su quella presenza: come tale non è una scelta banale, che si può prendere senza riflessione e meditazione. Senza una prova della veridicità di quanto promesso. Ed è naturale oltre che logico inferire il futuro dal passato, anche se si tratta di una falsa soluzione: un margine di fiducia ci verrà sempre chiesto, nonostante tutte le prove e le garanzie che possono esserci prodotte. Un margine, più o meno ampio, resterà sempre. È inevitabile ed è anzi necessario. La fiducia serve proprio a colmare quel vuoto lasciato dalle certezze e dalle sicurezze che inevitabilmente mancano in qualsiasi relazione, in qualsivoglia progetto. Quando si accetta questo dato di fatto ineludibile, quando ci si accorge e ci si avvicina all’incertezza e all’impossibilità di trasformarla in certezza, ci si accorge e ci si avvicina anche ai propri limiti e ai propri bisogni, ed è più facile accogliere la proposta che ci viene fatta, scegliere di far parte di quel progetto di cui con buona probabilità non tutto ci è chiaro. Ma che proprio per questo racchiude in sé una promessa di vita altrimenti inesprimibile.
I segni ci sono, ce ne siamo accorti. Ma non ne capiamo il senso. Ora ci viene chiesto di fidarci e con la nostra fiducia trasformare il progetto futuro in realtà presente.
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