Appena sbarcato in Argentina mi sono trovato ad avere in tasca i pesos, la moneta corrente. Questa aveva il cambio paritario con il dollaro americano. Non capivo il “miracolo” e mi chiedevo quanto potesse durare. Di fatto in breve siamo tutti ritornati alla realtà e il peso si è deprezzato in maniera rapidissima e spaventosa. Un giovane mi ha fatto il paragone con la mucca (il peso) attaccata con la corda dietro un camion (il dollaro). A passo normale non è successo nulla, ma appena il camion ha incominciato ad accelerare e a correre la mucca rischiava di morire strangolata. L’operazione successiva di rianimazione si chiamò “corralito/recinto”. Lo stato rinchiuse tutti i risparmi nel recinto delle banche senza farli uscire. Molti sono morti di fame per la impossibilità a disporre del proprio denaro, altri per l’impossibilità a pagare operazioni chirurgiche e medicinali costosi per le malattie croniche, altri hanno fallito con la loro impresa per mancanza di liquidità.
Le crisi economiche e finanziarie fanno emergere immediatamente le differenze tra cittadini e persone. Le emergenze le pagano prima di tutti le persone e famiglie che vivono alla giornata o dello stipendio mensile. Queste e altre categorie non hanno protezioni, scorte, volani che li aiutino a sbarcare lunario in una crisi che tocca strutturalmente l’intera società. Gli effetti di questa crisi, però, non sono “democratici”, nel senso che, metaforicamente, piegano gli alberi più alti, spezzano qualche ramo di quelli più esposti, ma divelgono quelli che hanno radici superficiali.
In Argentina ho constatato che è sempre stato un impegno della Chiesa latino americana vivere con gli impoveriti, gli sradicati, gli sfollati, gli immigrati, coloro che non si adattavano a questa nuova cultura urbana così violenta ed escludente. La vita dei poveri non è mai lunga perché la salute è un dono che loro non riescono a preservare. Ho visto morire giovani e bambini in condizioni di denutrizione e fame, di violenza e malattie conseguenti all’assunzione di droghe. La maggior parte dei bambini delle “ville miseria/baraccopoli” non mancava mai a scuola il lunedì perché c’era la mensa gratuita. Si consumava un terzo di cibo in più degli altri giorni, segno che la domenica a casa si mangiava poco e male. A proposito. Perché non liberare lo sguardo imprigionato sulle disuguaglianze nostrane e comprenderle contestualizzandole con quelle cronicizzate tra il Nord e Sud del mondo?
In Friuli che cosa sta avvenendo in questo tempo rivoluzionato dalla pandemia?
Si ripetono gli stessi meccanismi anche se, per fortuna, in proporzioni diverse. Gli impoveriti non hanno molti avvocati a difendere la loro causa, sono gli ultimi che si lamentano e che vengono “ascoltati”. Prima si pensa alla maggioranza delle persone, molte delle quali già
garantite per la classe sociale a cui appartengono. Gli ultimi vengono “affidati” alle cure delle parrocchie, dei volontari, delle associazioni del III settore. Fino a quando non diventino maggioranza ben pochi attori politici se ne prendono cura come persone. Non portano voti.
Sono i Senza dimora, i non residenti, i circensi, le mamme sole con bambini, gli anziani soli, gli immigrati stagionali, i pensionati con il reddito troppo basso, i disoccupati che hanno perso lavoro e hanno l’ISEE troppo alta per ricevere un sostegno governativo, le strutture private (es: scuole dell’infanzia parrocchiali, scuole paritarie, …) che operano nel sociale ed educativo, i bambini delle famiglie che non hanno gli strumenti per seguire da casa l’insegnamento scolastico, coloro che vivono di elemosina, le badanti che hanno perso il lavoro. La situazione attuale fa emergere nella società quanto stava appena sotto la superficie. Lo fa vedere, toglie la maschera dal volto di quella realtà che l’abitudine, la consuetudine, la cultura della maggioranza (non in senso partitico, ma sociale) interiorizza come “normale”.
Un esempio. Per Udine circolavano quotidianamente molti cani al guinzaglio delle signore e dei pensionati, ma solamente in questi giorni ci siamo resi conto di quanti erano già “residenti” negli appartamenti. Ora i cani sono avanzati di grado. Sono loro che hanno il compito di accompagnare gli antichi proprietari a fare la passeggiata e scodinzolano orgogliosi per la promozione sociale finalmente raggiunta con decreto del presidente del consiglio dei ministri (DPCM).
Così è con i poveri di Udine. Li si vede solo ora, seduti sulle panchine della città, nei luoghi tradizionali dove si tengono compagnia, si scambiano una parola o una bevuta. Sono sempre stati presenti, ma invisibili agli occhi dei nostri sempre più fugaci passaggi. Sotto questo aspetto possiamo dire che l’emergenza è anche una situazione propizia per tornare a vedere con occhi nuovi la realtà. La osserviamo quotidianamente con occhiate imprigionate dall’abitudine, dalla superficialità e da schemi sociali e culturali indotti. Li possiamo liberare per rivedere questa realtà invisibile che ci fa da specchio per comprendere la logica della società in cui viviamo, la nostra scala di valori e il nostro impegno personale nella Chiesa udinese e nella società civile.
E ringraziamo e difendiamo il nostro sistema sociale (welfare) che garantisce i diritti fondamentali a tutte le persone, a qualsiasi ceto sociale appartengano.
Don Luigi Gloazzo
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