Pubblichiamo la lettera inviata a tutti i sacerdoti e i missionari della Diocesi da don Luigi Gloazzo e dall’équipe del Centro Missionario Diocesano in occasione della trentaduesima Giornata mondiale dei Missionari martiri che ricorre il 24 marzo e che quest’anno coincide con la Domenica delle Palme.
La missione è annuncio di pace
Nei saluti pasquali che ci scambiamo quest’anno siamo chiamati a riflettere e pregare per la pace, il bene più grande e più fragile che fa crescere la vita e il Vangelo. Sono registrate nel mondo 57 guerre e conflitti armati in 45 Paesi, non solo in quelli che compaiono quotidianamente sui media. L’identificazione della pace con Gesù e la sua Pasqua è diventata preghiera perseverante ed è entrata nel canone della santa Messa. Non c’è preghiera che non abbracci la pace, non c’è fede cristiana che non accolga la sofferenza di un’umanità ferita segnata dalla violenza omicida che esibisce la violenza del potere con l’alibi del patriottismo e la difesa dei “sacri confini”. Eppure questa tragedia è subita dalle persone estranee alle logiche del mondo, dalla gente povera e indifesa che subisce le conseguenze devastanti nel presente, porta le ferite sempre aperte per generazioni, che tramandano e conservano la memoria collettiva della violenza subita.
Per parlare della pace in modo vero e senza retorica, occorre ascoltare il grido dei poveri che ne subiscono le conseguenze e non si abituano al dolore del mondo; prendere le distanze dalle logiche dei schieramenti di parte; fare la scelta coraggiosa e attiva che delegittima la violenza omicida e la criminalizzazione dell’avversario; stare sempre accanto ai violentati, alle vittime della violenza della guerra. Come possiamo, noi credenti in Gesù di Nazareth e nella sua proposta di vita, legittimare logiche e pratiche sociali e civili che disumanizzano le persone presentandole come “nemici”, obbligare per legge i cittadini a diventare strumenti addestrati a uccidere fratelli e sorelle per il solo fatto di essere nati in un’altra terra/stato?
Eppure le propagande esibite ossessivamente dai potenti mezzi di dissuasione di massa riescono a drogare la nostra capacità di pensare da umani e fratelli, a dare sfogo alle nostre paure profonde, a indossare divise mimetiche e convincere i giovani ad “esercitarsi nell’arte della guerra”. Oggi questo avviene in molti Stati e i cittadini vengono ingannati mistificando la chiamata alle armi spacciandola per “amor di patria”.
In ogni notiziario della giornata ci viene esibito il dolore delle vittime, la desolazione di una terra che subisce le devastazioni “apocalittiche dei cavalli di morte”. Ma si intuisce, anche, che gli stessi media che registrano il dolore e il dramma, si compiacciono nel mostrarlo e coltivano l’attrattiva, che tutti avvertiamo, verso questi “giocattoli tecnologici”, verso le armi più sofisticate, le strategie più efficaci che i generali adottano nelle battaglie. Chi orienta gli strumenti della comunicazione sa molto bene che in fondo rimaniamo bambini e siamo attratti dai giocattoli di guerra tecnologica esibiti con competenza. Per noi maschi bambini il gioco della guerra era tra quelli preferiti e gridavamo euforici e sollevati dall’angoscia quando nei film “americani” arrivavano gli invincibili soldati cavalleggeri dalle divise blu, al suono della tromba euforica, a sconfiggere finalmente i cattivi e incivili “indiani”. Oggi sappiamo molto bene che era propaganda esplicita, ma questa distorsione della verità ha preso dimora per sempre nel nostro immaginario emozionale e culturale.
In questo tempo senza pace, drogato dall’ossessione della sicurezza, intimorito dalla presenza del forestiero e dalla paura di incontrarlo, noi credenti possiamo intraprendere il percorso di una conversione umana ed evangelica, cominciando da noi stessi e dai rapporti familiari. La pace si impara non dai libri, ma dalla capacità di stare nelle relazioni conflittuali della quotidianità senza lasciarci travolgere. La vita è conflitto e la pace non è assenza di conflitti, ma capacità di gestirli e di portare il peso della croce, della rinuncia a odiare e a scatenare i sentimenti impazziti di rivalsa. Si impara in casa a non usare parole violente e piene di rancore. Si impara in famiglia ad aspettare a reagire nei momenti in cui il nostro cuore non è in preda a passioni distruttive. Si impara nelle relazioni autentiche a confidare anche le emozioni e i sentimenti più forti per guardarli in faccia, saperli riconoscere come nostri e, poi, gestirli/governarli. Si impara dalla Parola interiorizzata a camminare sulle strade della vita e al seguito di Gesù Cristo, nostra Pace.
La nostra società aveva attivato anche dei percorsi di impegno Nonviolento al servizio delle persone più fragili della “patria/matria”. Il servizio civile, nato dalle scelte di obiezione di coscienza alla guerra, al servizio militare e al finanziamento degli armamenti, si è evoluto nell’attuale Servizio Civile Universale, che però viene scelto da una minoranza dei giovani. Per questo è più difficile far crescere una cultura per una pace attiva, disarmata, non nascosta sotto il tappeto dell’“equilibrio del terrore”. Se non ci si impegna per un servizio civile attivo e Nonviolento, non crescerà una sensibilità consolidata fino al “ripudio della guerra”, come recita la nostra Costituzione e lo spirito del Vangelo.
Che sia l’impegno per “costruire la pace”, come ci ricordano le Beatitudini (Mc 5,9), la Missione di Evangelizzazione in tutto il mondo? È questo il “Segno dei tempi” su cui siamo chiamati a riflettere e operare con la sapienza di Gesù Cristo e della Chiesa. Voi, Missionari/e (= Inviati) del Principe della Pace, avete un compito e un mandato sempre più chiaro e urgente da vivere e testimoniare nelle comunità dove siete a servire. Lo Spirito di Cristo dona la forza a tutti i discepoli di oggi, come a colui passava ieri “per caso” sulla via verso il Calvario: «Un tale Simone di Cirene, il padre di Alessandro e di Rufo, che veniva stanco dai campi» (Mc 15, 21; Mt 27,32; Lc 23,26).
Possiamo identificarci tutti con questo Cireneo, che è lo stesso Gesù che si carica della Croce del mondo. La nostra prospettiva è quella di tutta l’umanità, è quella della Pasqua. Dal Friuli riflettiamo e preghiamo per la pace e vi accompagniamo nella vostra missioni di testimoniare Cristo nelle realtà che vivete. Accogliamo il dono e la benedizione pasquale di Gesù che si presenta ai discepoli impauriti dopo la Resurrezione: la Pace sia con voi (Lc 24,36).
Don Luigi e l’équipe del Centro Missionario Diocesano
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