Avvicinarsi

Riflessione di approfondimento sulla lettura della Seconda Domenica di Avvento 2019. Autore del testo: Stefano Mentil, Centro Documentazione Pace e Mondialità, Caritas di Udine

Avvento 2019

Una volta accortisi che qualcosa sta accadendo, una volta accettato di avvicinarsi a quest’esperienza e di farne parte, c’è ancora molto da imparare. La novità stessa dell’evento, di cui forse a fatica ci siamo accorti e che con alcune ritrosie abbiamo fatto entrare nella nostra esistenza, pretende di essere ascoltata e capita, accettata. Non solo sentita, ma ascoltata con attenzione. Accortisi che la realtà è carica di segni, di cui prima nemmeno ci accorgevamo perché immersi nell’indifferenza, incapaci di dividere il bene dal male ma soprattutto incapaci di scegliere da che parte schierarci. Segni di cui abbiamo fatto fatica a capire il senso perché venivano a confondere e a disallineare quell’equilibrio a fatica raggiunto, ritenuto a torto o a ragione un diritto. Segni di cui non abbiamo potuto capire tutto, che perciò ci hanno chiesto una quota più o meno grande di fiducia. Segni di cui non riusciamo a cogliere i nessi, i legami con la nostra rete di esperienze, di relazioni e di sentimenti, in quest’itinerario nell’interiorità del nostro rapporto con tutto il resto da noi, oltre che di noi.

A noi, come a Giovanni il Battista che chiedeva conferme, spesso l’unica risposta che ci viene fornita è la riproposizione di quei segni, che non ci bastano ma che sono l’unico riscontro che ci viene concesso. Ossia, ci viene concessa l’opportunità di fidarci. Rispondere puntualmente alla domanda interrompe il dialogo, ne impedisce la fioritura, lo riduce ad un breve e inefficace scambio di battute. Ma rilanciare, apparentemente evitare di dare una risposta ad una domanda, che se non semplice, appare comunque precisa e puntuale, significa anche tenere aperto quel dialogo,

far rivivere la relazione innescata con la domanda iniziale. Significa soprattutto stimolare all’elaborazione personale di quei nessi che ancora ci mancano, e che se ci vengono preconfezionati e somministrati non si legheranno mai alla nostra vita.

Si tratta quindi di allenare l’ascolto interiore e intuitivo. Ci viene chiesto di fare la nostra parte, che non può limitarsi ad esprimere la domanda, a nutrire il dubbio, ad alimentare il bisogno, ma deve andare oltre, cogliendo la coerenza intima e nascosta di ciò che è già sotto i nostri occhi, a disposizione del nostro sguardo e del nostro ascolto.

Si tratta di accettare le nostre prigioni interiori, le paure, i limiti… come costitutive ma al tempo stesso non limitanti; ossia di fare come Giovanni che in prigione viene comunque raggiunto dalla notizia delle opere del Cristo e dalla prigione manda i suoi discepoli. Che dalla prigione delle proprie aspettative riesce a far evadere quella domanda di senso e di conferma che potenzialmente poteva anche ricevere in risposta la più cocente delle delusioni. E che invece viene “rispedita al mittente”, quasi che la cosa veramente importante non fosse quella che era stata chiesta, ma un’altra, ovvero la drammatica presenza silente di tutti quei segni (“i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”, Lc 11, 5) che già ci sono ma di cui facciamo fatica a capire l’origine e soprattutto lo scopo, che in realtà sembra essere esattamente quello di rispondere alla domanda iniziale.

Ciascuno è perciò chiamato non solo a rivendicare il proprio diritto a porsi delle domande, a nutrire dei desideri e ad avanzare delle aspettative, ma parimenti a farsi carico del proprio dovere di ricercare le proprie risposte, di rinunciare alle proprie sicurezze se questo si rivela essere un passaggio necessario per accogliere la novità che viene a proporsi, di accettare i nostri limiti e di chiedere aiuto a chi può farsi nostro “messaggero” nel recapitare la nostra domanda.

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