Editoriale del direttore della Caritas Don Luigi Gloazzo

DOMANDE SULLA PACE E LA/E GUERRA/E

È più facile farsi domande sulla guerra che sulla pace. Questa sembra naturale, garantita, scontata, dovuta, diritto acquisito dalla nascita. Invece ci sono le guerre, magari non proprio in casa nostra o nella terra dove siamo registrati come cittadini di uno stato. Fino a quando i conflitti/gare vengono giocati sul campo di calcio o nello sport di squadra, noi facciamo da spettatori emozionati, ne andiamo fieri e ci mettiamo al collo le medaglie dei “nostri” vincitori. Così sublimiamo le frustrazioni quotidiane, di casa e fuori casa. Ma quando le guerre vengono disputate in “Paesi lontani” allora incominciano dispute e schieramenti di opposte tifoserie. Allora si gonfiano il petto, addestrano i muscoli dei bicipiti gli stati, le economie, gli interessi sovranazionali, le ideologie, gli strumenti di comunicazione e di disinformazione, figli naturali di potenze più o meno occulte, di palesi interessi (di pochi) che spargono briciole ai votanti (sempre meno numerosi). Ah! Potenza ipnotica della propaganda, in grado di proiettare il diavolo sulla faccia del nemico e occultare scientificamente le diavolerie dei propri padroni!

Come si può vivere in pace se non si prendono in rispettosa considerazione le differenze culturali, linguistiche, religiose, geografiche e altro, che si sono evolute e costituite nei percorsi storici dei popoli, per imparare a rispettarle e a confezionarle in un bel vestito multicolore? Possibile che i “minorizzati” (non solo minoranze!) debbano sempre soccombere o ricorrere alle violenze, alle bombe, alla lotta partigiana, agli attentati e ai fanatici fatti in casa, alle sudditanze con gli imperi per far vedere agli autoincoronatisi “maggioranza con diritto divino”, che esistono anche altri poveri cristi resi invisibili e i diritti dei mansueti/buoni, silenziosi o silenziati? Perché chi è maggioranza non riconosce alla minoranza gli stessi diritti che esige/pretende garantiti per sé? Le guerre covano dove non si vuol rispondere a queste domande, sempre rimandate o inevase in tempi di “pace”.

E questo avviene in ogni parte del mondo, in ogni stato e continente, anche in Ucraina e Russia, non certo esempi di sostanziale rispetto per le minoranze interne. Basta osservare, per esempio, la povera Moldavia! Sembra che sulla sua terra vivano, in proporzioni quasi uguali, un terzo di persone di parlata Russa, un terzo Ucraina e un terzo Romena. Se questa gente chiede aiuto in caso di invasione: chi delle tre “identità” lo farà? Verso quale “potenza militare” e/o “impotenza”? Secondo le “logiche del più forte/mondo” un terzo delle persone, o i due terzi, hanno già perso la partita prima di incominciarla e, di conseguenza, soffocheranno dentro il petto il grido di ribellione, o lo esprimeranno senza avere una risposata da chi lo sente. Ma se fossero anche solo minoranza sarebbero meno degni di vivere e convivere con pari dignità con chi si auto proclama maggioranza? La logica risorgimentale degli stati/nazione non regge più, dato che da sempre ci sono state e continuano a coesistere più popoli/nazioni nei confini di uno stesso stato! Vedi il nostro Friuli! Quando impareremo, quindi, a comporre le diversità in una uguaglianza sostanziale, reale e non solo affermata con impeto retorico e tronfio nei comizi; a garantire la dignità, l’accesso universale ai servizi sanitari, alla scuola e alla cultura, la libertà di professione della propria fede dentro una religione rispettata e accolta?

Possiamo fare una semplice ricerca dove ci sono conflitti attivi e guerre nascoste o conclamate sui media e vedremo che è sempre acceso il fuoco dell’oppressione e/o della supponenza privilegiata, dell’interesse singolo o di pochi (gli oligarchi non sono solo in Russia), di una parte o di uno stato. Ci si orrorizza per le conseguenze delle guerre esibite in tivù, sui social e sulla stampa, ma non ci si chiede chi produce e vende armi in casa nostra o nelle economie del Nord del pianeta. Armi e potere sono una delle poche coppie sempre fedeli e indissolubili in tutta la storia umana. È urgente ritornare a pensare, ad avere gli elementi sufficienti per poterlo fare con la propria testa, a trovarci per ascoltarci e condividere opinioni e conoscenze che ci aiutano a ricercare le cause e tracciare strade della pace. Non ci si accorge più che nelle guerre/conflitti germinano immediatamente schieramenti opposti, ci si contagia della stessa malattia che circola negli sport di competizione: il tifo.

Si chiamano eserciti perché si “esercitano all’arte della guerra”, non dimentichiamolo!

Perché falliscono sempre le proposte di esercitarci in percorsi di pace e pacificazione? La Chiesa italiana aveva proposto ai giovani in tempi di coscrizione obbligatoria la Obiezione di Coscienza. Moltissimi avevano accolto l’invito rispondendo consapevolmente e sapientemente, dedicando il tempo equivalente a quello della coscrizione obbligatoria, al servizio degli ultimi, dei fragili, delle persone con disagi gravi, nelle periferie umane, sociali e geografiche. Sul versante femminile si era attivato il Servizio Civile, praticamente con gli stessi valori ed obiettivi. Non è questa servizio e difesa della cosiddetta Patria? Sembra che le proposte più radicali e innovative, da un punto di vista sociale e civile, sorgano lontane dal tempo problematico dell’esplosione dei conflitti, quando si è sovraeccitati dall’emergenza e dalla paura. Ancora una volta non ci prepariamo a costruire la pace quando la godiamo come privilegio e come artigiani che la costruiscono ogni giorno con arte. C’è una convinzione consolidata che ci si debba preparare alla guerra (proliferazione ed evoluzione specialistica degli armamenti) proprio nel tempo della pace al punto che la pace è diventata il tempo fra due guerre.

Non lasciamo solo Papa Francesco (= la pace è frutto della giustizia nella verità) ad ammonirci sull’accaparramento prepotente delle risorse naturali e sul culto idolatrico del potere, come la fucina sempre in funzione dove si forgiano le guerre e, quindi, anche quella che ci viene squadernata oscenamente su tutti i canali e i social da più di due mesi. Hanno ridotto la tivù a una playstation dove si gioca da spettatori alla guerra virtuale. Chi vuol riflettere provi ad osservare con la lente limpida della sapienza come si gestiscono di fatto i conflitti tra stati e popoli! Provi a chiedersi quali siano gli interessi in gioco e di chi? Provi a verificare se c’è sulla terra uno stato schiettamente democratico dove tutti i cittadini possano esprimere la propria “identità” senza riconoscere e garantire quella di chi vive accanto?

Quando impareremo a comprendere che la nostra identità è il frutto di infiniti incontri, di continue interrelazioni, di mutui arricchimenti, di condivisione dei beni materiali e spirituali, di percorsi che progrediscono verso una unità rispettosa e sorprendente delle diversità? E così altre domande che emergono dal vissuto, ma che non trovano risposte di valore universale nei dialoghi e dibattiti costruiti su copioni apparentemente diversi, ma tutti conseguenti a interessi di parte. E viva chi si accinge ad aprire i solchi della terra con gli aratri mentre cadono bombe, a seminare con l’elmetto in testa e il giubbotto antiproiettile. Ci fa ricordare le profezie/utopie di Isaia che scorgeva con occhi vigili tempi nuovi in cui “Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra (Is 2, 4).

Ritorniamo alla verità/semplicità autentica del Vangelo e con il suo criterio infallibile dell’amore per i fratelli osserviamo la vita e la morte dentro di noi e nelle vicende di questo povero mondo, che pensa sempre di “portare soccorso al vincitore”, quasi sempre il più astuto, forte e violento. È un gioco rischioso per tuta l’umanità e domanda vittime sacrificali innocenti, come gli idoli.

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